L’eccidio, e il silenzio, di Pietransieri

E’ una mattina di novembre quando il maresciallo Albert Kesselring fa affiggere un manifesto a Rivisondoli, Pescocostanzo, Roccaraso, Roccacinquemiglia e Pietransieri:

“Tutti coloro che si troveranno ancora in paese o sulle montagne circostanti saranno considerati ribelli e ad essi sarà riservato il trattamento stabilito dalle leggi di guerra dell’esercito germanico”. Cioè la fucilazione sul posto.

E no, gli abitanti di Pietransieri non ubbidirono ai nazisti. Si rifugiarono nel bosco di Limmari. Ma fu proprio lì che li raggiunsero e li fucilarono, uno per uno: morirono così 128 persone fra le quali 34 bambini al di sotto dei 10 anni e un bimbo di un mese. Era il 21 novembre 1943. I corpi restarono abbandonati nella boscaglia, sepolti dalla neve, fino alla primavera del 1944.

Furono trucidati per un semplice sospetto. Il sospetto che la popolazione civile potesse sostenere i partigiani

I tedeschi, comandati dal tenente Schulemburg, all’inizio si accanirono contro il bestiame razziato, mitragliato e abbandonato. Poi passarono alle persone. La strage si compì fra il 16 e il 21 novembre. “Alcuni pietransieresi,vennero sorpresi e fatti saltare all’interno dei casolari. Molti altri vennero uccisi, con fucilazioni di massa, l’unica superstite fu Virginia Macerelli, una bambina di sei anni che fu occultata e protetta dalle vesti della mamma”.

L’eccidio di Limmari, o eccidio di Pietransieri, è rimasto, fra gli orrori di guerra, un po’ come quei corpi sotto la neve nella boscaglia: occultato. Così come nascosti sono rimasti l’eroismo e il sacrificio della Valle del Sangro, nell’autunno del 1943, dove i tedeschi sul Trigno contrastarono più duramente l’avanzata degli alleati.

Pietransieri, oggi frazione del comune di Roccaraso, non ha dimenticato mai. Ha eretto anche un sacrario, nel quale mi accompagnò qualche anno fa il mio amico Pasquale di San Pietro Avellana e nel quale ho voluto portare mia nipote, questa estate. Ci siamo andate tutte insieme, mia madre, mia sorella mia nipote e la quippresente (accompagnate dall’eroico marito di mia sorella): tre generazioni di donne davanti a quel Sacrario.

Un po’ di giustizia è arrivata solo due anni fa, 74 anni dopo, con una sentenza storica del Tribunale di Sulmona, che ha condannato la Germania a risarcire il Comune e i parenti delle vittime.
Il silenzio, invece, continua.
Interrompiamolo almeno noi, oggi.

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