Maria Montessori, che ci aiutò a farcela da soli

Pagò anche un uomo che le fumasse accanto mentre dissezionava cadaveri, per contrastare la nausea da cattivo odore della formaldeide e non farla svenire lì, nell’Aula di Medicina della Sapienza a Roma. Era il 1893. E la refrigerazione non era proprio al meglio. Lei alle nove di sera di norma lì stava, armata di bisturi. E perché da sola, di sera, e non con i suoi compagni di corso il giorno? Perché non si addiceva a una donna stare nella stessa stanza con un corpo nudo e altri uomini, sebbene il nudo fosse in rigor mortis.

Quella ragazza aveva 23 anni. E si chiamava Maria Montessori. Basterebbe solo questo aneddoto a farcene capire determinazione e tigna.

Maria Montessori da Chiaravalle, Ancona, classe 1870, 150 anni dalla nascita oggi. Nasce nel periodo sbagliato, o il più giusto, per le sue ambizioni, periodo in cui il posto per una donna poteva essere solo il focolare domestico e non certo una morgue. Eppure.

Nel 1883 si autorizzano le donne a frequentare le scuole superiori: e lei vuol fare l’ingegnere. Nel 1889 capisce invece che la sua vocazione è la medicina ma le autorità accademiche le negano l’accesso. “Sarò medico, costi quel che costi”. E lo diventa. Anche se in Facoltà dovrà sempre essere scortata “da un adulto”, andarci di notte e da sola.

Da quel momento in poi i suoi studi e i suoi lavori iniziano a brillare anche di giorno. E diventa assistente alla clinica psichiatrica dell’Università di Roma, insieme a Giuseppe Ferruccio Montesano dedicandosi al recupero dei bambini e delle bambine con problemi psichici, al tempo definiti anormali. Lui sarà anche il suo amore e da quell’unione nasce un figlio, senza essere sposati. Nasce Mario, forma maschile del suo nome. Non si sposeranno ma si promettono che mai si sposeranno neanche con altri e terranno segreta la nascita di quel figlio.

E sì, la regina delle pedagogiste affidò il suo neonato a una balia e poi a una famiglia. Perché nella vita non tutti i calcoli tornano. Lui, ovviamente, dopo poco invece si sposerà con un’altra. Lei indosserà tutta la vita abiti neri, in ricordo di quel lutto del cuore. Mario andrà a riprenderselo, già adolescente, ma continuerà a presentarlo come il nipote. Dio solo sa con quale dolore. Ma quel figlio saprà apprezzarla e amarla ugualmente moltissimo.

La sua passione, l’ingegno, la rivoluzione pedagogica dell’imparare facendo, dell’indipendenza come faro, e della libertà di scelta e di azione del bambino, della responsabilizzazione, faranno nascere e apprezzare in tutto il mondo quell’”Aiutiamoli a fare da soli” che diventerà il “metodo Montessori”.

Al suo arrivo negli Stati Uniti, nel 1913, il New York Tribune la presenta come la donna più interessante d’Europa. Glorie e onori che presto le si ritorcono contro e alternerà stelle e stalle. Ma niente e nessuno riuscirà a fermarla. Solo la morte che arriva il 6 maggio 1952 in Olanda, a Noordwijk. Sulla sua tomba si legge, in lingua italiana: «Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo».

E insomma, se siamo quello che siamo da adulti, lo dobbiamo a chi ha creduto in noi bambini. Lei.